29/05/07

Sogni e bisogni

Ok, parlo ancora di lavoro....ma mi trovo in una situazione in cui questo resta la mia principale fonte di preoccupazioni.
Trovo davvero abominevole e indegno per un paese civile -come si autodefinisce il nostro!- che i giovani si debbano sentir dire "se vuoi fare questo lavoro vai all'estero". Ma non perchè non c'è alcuna possibilità, ma per il semplice fatto che non esiste meritocrazia e che la gente che lavora occupa quel posto perchè moglie di un produttore. E queste persone, oltre a non mollarlo quel posto, ti faranno pure la guerra!
Mi è stata detta questa frase da una persona che lavora nel cinema e in tv da più di 20 anni. Quindi conosce la situazione attuale. Ma perchè? Non è giusto!Assurdo! Ancora ricominciare da capo? Io sono stufa! Sono stufa delle parole gettate al vento, sia di sinistra che di destra. Questo è un problema di paese, e di mentalità di merda radicata fino al midollo.
Perchè io non posso pensare di lavorare nel cinema? Perchè non posso permettermi di coltivare i miei sogni e realizzarmi? Perchè per me poter fare questo lavoro significa realizzarmi anche come persona...
Questo è un paese dove non esisteranno più i sogni...anzi, questi si trasformeranno man mano in soli bisogni. E un paese incapace di sognare, che paese è? Inutile continuare a dire che i giovani sono il futuro, perchè il futuro, per ora non esiste.
Don Ciotti -grande uomo- ha detto "basta dire che i giovani sono il nostro futuro, perchè è un motivo per procrastinare le cose. Meglio dire che i giovani sono il nostro presente!".

Forse nel nostro paese i giovani sono i 50enni....

25/05/07

I mestieri perduti dei nuovi precari

Non devi arrabbiarti se il cameriere ti porta la colazione venti minuti dopo l'ordinazione, e gli cadono le posate per terra. Non può fare di meglio, perchè non è un cameriere. Devi avere pazienza, nella lunga coda davanti alla cassa del posto di ristoro: la cassiera deve chiedere ai baristi (gridando) come diavolo funziona la cassa. Perchè non è una cassiera. Allo stesso modo il giovane installatore (in sub-sub-appalto) che deve passare le fibre ottiche dal cavedio condominiale al tuo appartamento ci mette mezza giornata perchè non sa bucare il muro e teme di fare danni: perchè non è un installatore. E la gentile ragazza del call-center, poveretta, per forza non è capace di darti alcuna indicazione su come affrontare il tuo black-out sul sistema satellitare: perchè non è un tecnico.
Sono alcuni esempi tra i tanti, esperienza personale degli ultimi mesi. Diretta conseguenza del dilagare del lavoro precario, e cioè, detto brutalmente, della fine dei mestieri. Del precariato si parla molto, e giustamente, in relazione alle condizioni dei giovani lavoratori: le cui prospettive di futuro sono opache e ansiogene. Molto meno si parla dell'inevitabile peggioramento dei servizi di ogni ordine e grado. E cioè della ricaduta del precariato sui tanti nominati "consumatori", che in teoria sarebbero il motore virtuoso di ogni sviluppo, di ogni ripresa, ma in pratica (insieme ai precari) sono quelli che pagano il prezzo, salato, della dequalificazione del lavoro. Della fine dei mestieri.
Poichè niente accade per caso, e cioè senza che un interesse cospicuo e potente lo faccia accadere, se ne deve desumere, ragionando a spanne, che dei tre soggetti coninvolti nel fenomeno (aziende, lavoratori, consumatori) almeno uno trae enormi vantaggi economici dal ricorso sempre più massiccio al lavoro precario. Gli altri due -lavoratori e consumatori- si fronteggiano, spesso acidamente, sul terreno impoverito di una fornitura d'opera che non può essere che scadente.
perchè se per esempio la prestigiosissima azienda di comunicazioni, grazie al sistema degli appalti e dei sub-appalti, si è resa "leggera" tagliando i costi del personale, snellendo gli organigrammi, deponendo la soma dell'assistenza, il risultato è che il cliente si trova sempre a trattare non con l'azienda stessa, non con l'entità che gli ha sottoposto un contratto e poi è svanita nel nulla, ma con il suo ectoplasma. Con un universo nuovo e sconosciuto, dalle responsabilità spesso indefinibili, dalle conoscenze parcellizzate, che se appena riesci a scalfirne la crosta sovente sussiegosa (maschera di una professionalità tutta virtuale...), si rivela composto da ragazzi che fino a un mese prima facevano altro, e tra un mese, magari altro ancora. Davanti a una tazza di caffè, un ragazzetto travestito da manager, che aveva suonato alla mia porta cercando di rifilarmi la "vantaggiosa proposta commerciale" di un distributore di gas doemstico concorrente di quello dal quale mi servivo, mi ha raccontato il suo quasi surreale curriculum lavorativo, una specie di patchwork di brevi e caduchi apprendistati in sei o sette branche del famoso "terziario avanzato". Era felice di non essere disoccupato, semi-grato a questo mercato del lavoro che ai più indifesi non offre più lavori, ma parodie, ovviamente pagate poco. ma si sentiva sbandato, incapace di pensarsi, domani, alle prese con qualche certezza, con qualche prospettiva.
Sempre più spesso, amaramente, mi è tornato in mente un vecchio, ruvido ma efficace slogan del Sessantotto: "A salario di merda, lavoro di merda". Si riferiva -si badi bene- al lavoro di fabbrica, alla vecchia e dura conflittualità tra padrone e salariato, ma anche al sicuro appartenere, sia pure come ultima rotella, all'ingranaggio mastodontico di un'industria che comunque dava una prospettiva, risicata ma una prospettiva, compresi i comfort del paternalismo aziendale che si occupava, in molti casi, anche delle vaccanze per i figli, del dopolavoro, e in fin dei conti consentiva la formazione di un'identità: professionale e di classe. Dirsi "operaio", fino a una generazione fa, voleva dire qualcosa di intellegibile e forte.
Ma per questi operai che non sono operai, camerieri che non sono camerieri, cassiere che non sono cassiere, ricambiare con un "lavoro di merda" un salario di merda, e per giunta a termine, non è neanche una estrema presa di posizione ideologica. E' uno stato di fatto, è l'impossibilità materiale di impadronirsi di un mestiere, di usarlo come gradino per salire una scala, di sgobbare per un risultato concreto. E' un non saper fare, un non potere imparare, un saltabeccare faticoso e frustrante tra mezzi lavori, mezze speranze.
E i consumatori, per dirla più civilmente i cittadini, giustamente faticano persino a protestare, non solo perchè nel labirinto dei call-center, nell'immaterialità dell'azienda è difficilissimo trovare il luogo fisico o anche virtuale dove lamentarsi; quanto perchè si rendono conto che chi gli sta di fronte, qualunque sia il suo grado di disponibilità e di tenacia, non è materialmente in grado di fare bene il proprio lavoro. Per il semplice fatto che quel lavoro non è il suo lavoro.
Non so se esistano studi o valutazioni sull'impatto della fine del lavoro sui servizi. Sui costi, sui disservizi, sulle nuove, impreviste distanze che separano il fruitore di un servizio dall'erogatore. Quello che è certo è che, quando ti trovi davanti a un ragazzo o una ragazza incapaci di svolgere il proprio lavoro, il rapporto non è tra vittima e carnefice. E' tra vittima e vittima, è tra il lavoratore dequalificato e il cittadino malservito. Il carnefice, restando in metafora, è lontano anni luce, in consigli d'amministrazione che valutano soddisfatti il calo del costo del lavoro. E non calcolano il calo della qualità della vita, e la perdita di dignità di chi lavora male, e di chi riceve il frutto avvelenato del cattivo lavoro, pagandolo come se fosse buono.

Michele Serra, La Repubblica, 25.05.07

22/05/07

Fuoco cammina con me

MANTENERE LA DISTANZA.
NON AVVICINARSI TROPPO.
IL FUOCO BRUCIA.
IL RISCHIO C'E'.
MA FINCHE' NON TI SCOTTI, PENSI SEMPRE DI POTERCELA FARE...

20/05/07

Fatica

Sì, fatica.
Ultimamente sto trovando davvero faticosi i rapporti umani.

Sia mantenere quelli che ho -e quelli veri, profondi, non sono poi nemmeno molti-, sia soprattutto iniziarne di nuovi. E' necessario un investimento non indifferente, emotivo, psicologico e attitudinale (passatemi il termine).

L'inizio è sempre difficile e importante, bisogna comunque essere cauti nelle parole, cercare di studiare l'altra persona, e dare a nostra volta la possibilità di essere studiati. Molto spesso non sono stimolata a rendermi "amichevole", disponibile a stabilire un rapporto (perchè è fondamentale essere aperti, essere disposti a questo primo confronto, pena davvero la morte prima della nascita), perchè ormai credo di avere dei canoni piuttosto precisi sulle persone.

Dopo qualche scambio, già stabilisco se una persona mi interessa o meno (e il termine interessare deve essere preso nel suo senso più allargato). E' inevitabile, non riesco a nascondermi dietro un dito. Di conseguenza, se la persona che ho di fronte non mi interessa, divengo indifferente e abbastanza ostile.

Il punto è che, se invece sembra essere una persona che rientra nella mia idea di amico/a, non mi sento molto stimolata a intessere una relazione che parta da zero. Mi sento svogliata verso le persone. E sono anche stufa di cercare di capire che passa nella testa degli altri, davvero! Il mondo mi sembra stia diventando un'enorme clinica psichiatrica...

Però mi sento molto combattuta: da un lato vorrei vivere su un atollo in mezzo all'oceano, ma dall'altro capisco che vivo essenzialmente degli altri. Che succede? Io non capisco...

18/05/07

La felicita'

C'è un'ape che si posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne và...
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa

Trilussa

17/05/07

Sono sul pezzo

Fantastico...io avevo segnalato il documentario della BBC sull'occultamento dei crimini sessuali da parte del Vaticano un bel po' di tempo fa, e oggi lo fa anche il Signor Grillo...
WOW!
Precorro i tempi??
(bello farsi i complimenti da soli ogni tanto!!)

07/05/07

A proposito delle elezioni francesi...


06/05/07

E' vero...

Certi pensieri vengono solo durante la notte, forse per il silenzio che c'è, per l'oscurità che tutto avvolge e tutto rende ovattato.
La notte è intima, quasi faccia emergere la nostra parte più nascosta.
Di notte forse ascoltiamo più attentamente il nostro battito, il nostro respiro...

Chi esita è perduto...?

L'uccellino mattiniero acchiappa il verme, chi ha tempo non aspetti tempo. Colui che esita è perduto. Non possiamo far finta che non ci sia stato detto: abbiamo sentito i proverbi, abbiamo sentito i filosofi, abbiamo sentito i nostri nonni che ci ammonivano sullo spreco del tempo, abbiamo sentito i poeti maledetti che ci spingevano a prendere al volo il momento... però qualche volta dobbiamo cavarcela da soli. Dobbiamo compiere i nostri errori. Dobbiamo imparare sulla nostra pelle. Dobbiamo spazzare le possibilità dell'oggi sotto il tappeto del domani, fino a che non potremo più farlo, fino a che non comprenderemo da soli quello che voleva dire Benjamin Franklin: che cercare risposte è meglio che farsi domande, che stare svegli è meglio che dormire. E anche il più terribile fallimento, anche il peggiore, il più irrimediabile degli errori, è di gran lunga preferibile al non averci provato.

Grey's anatomy

03/05/07

Ironic

A traffic jam when you’re already late,
a no-smoking sign on your cigarette break,
it’s like 10.000 spoons
when all you need is a knife,
it’s like meeting the man of my dreams
then meeting his beautiful wife
and isn’t it ironic, don’t you think? A little too ironic…

01/05/07

Gente

La gente non è più in grado di stare zitta. Non ce la fa proprio, deve sputare parole a vuoto ovunque e su qualsiasi cosa.
Allucinante!
Io propongo il giorno del silenzio, in cui le parole pronunciate dovranno essere solamente quelle essenziali per la vita di tutti.

Quel che era...

stupefacente, in quella donna, era la lentezza dei tempi di reazione. Ne parlammo più di una volta con Bartleboom, della faccenda, lui era assolutamente affascinato da quel fenomeno, l'aveva anche studiato, per così dire, finendo per acquisire, al proposito, una competenza pressochè scientifica, e completa.
Nella circostanza, sapeva dunque benissimo che il tempo a sua disposizione per sparire impunito da quella casa oscillava tra i ventidue e i ventisei secondi. Aveva calcolato che gli sarebbero bastati per raggiungere la carrozza. In effetti fu esattamente quando lui posò il sedere in vettura che la tersa aria mattutina di Bad Hollen fu scardinata da un urlo disumano
- BAAAAARTLEBOOM!

Che voce, quella donna. Ancora anni dopo, a Bad Hollen, raccontavano che era stato come se qualcuno, dal campanile, avesse fatto cadere un pianoforte dritto su un deposito di lampadari di cristallo.


A. Baricco

Oceano mare