25/05/07

I mestieri perduti dei nuovi precari

Non devi arrabbiarti se il cameriere ti porta la colazione venti minuti dopo l'ordinazione, e gli cadono le posate per terra. Non può fare di meglio, perchè non è un cameriere. Devi avere pazienza, nella lunga coda davanti alla cassa del posto di ristoro: la cassiera deve chiedere ai baristi (gridando) come diavolo funziona la cassa. Perchè non è una cassiera. Allo stesso modo il giovane installatore (in sub-sub-appalto) che deve passare le fibre ottiche dal cavedio condominiale al tuo appartamento ci mette mezza giornata perchè non sa bucare il muro e teme di fare danni: perchè non è un installatore. E la gentile ragazza del call-center, poveretta, per forza non è capace di darti alcuna indicazione su come affrontare il tuo black-out sul sistema satellitare: perchè non è un tecnico.
Sono alcuni esempi tra i tanti, esperienza personale degli ultimi mesi. Diretta conseguenza del dilagare del lavoro precario, e cioè, detto brutalmente, della fine dei mestieri. Del precariato si parla molto, e giustamente, in relazione alle condizioni dei giovani lavoratori: le cui prospettive di futuro sono opache e ansiogene. Molto meno si parla dell'inevitabile peggioramento dei servizi di ogni ordine e grado. E cioè della ricaduta del precariato sui tanti nominati "consumatori", che in teoria sarebbero il motore virtuoso di ogni sviluppo, di ogni ripresa, ma in pratica (insieme ai precari) sono quelli che pagano il prezzo, salato, della dequalificazione del lavoro. Della fine dei mestieri.
Poichè niente accade per caso, e cioè senza che un interesse cospicuo e potente lo faccia accadere, se ne deve desumere, ragionando a spanne, che dei tre soggetti coninvolti nel fenomeno (aziende, lavoratori, consumatori) almeno uno trae enormi vantaggi economici dal ricorso sempre più massiccio al lavoro precario. Gli altri due -lavoratori e consumatori- si fronteggiano, spesso acidamente, sul terreno impoverito di una fornitura d'opera che non può essere che scadente.
perchè se per esempio la prestigiosissima azienda di comunicazioni, grazie al sistema degli appalti e dei sub-appalti, si è resa "leggera" tagliando i costi del personale, snellendo gli organigrammi, deponendo la soma dell'assistenza, il risultato è che il cliente si trova sempre a trattare non con l'azienda stessa, non con l'entità che gli ha sottoposto un contratto e poi è svanita nel nulla, ma con il suo ectoplasma. Con un universo nuovo e sconosciuto, dalle responsabilità spesso indefinibili, dalle conoscenze parcellizzate, che se appena riesci a scalfirne la crosta sovente sussiegosa (maschera di una professionalità tutta virtuale...), si rivela composto da ragazzi che fino a un mese prima facevano altro, e tra un mese, magari altro ancora. Davanti a una tazza di caffè, un ragazzetto travestito da manager, che aveva suonato alla mia porta cercando di rifilarmi la "vantaggiosa proposta commerciale" di un distributore di gas doemstico concorrente di quello dal quale mi servivo, mi ha raccontato il suo quasi surreale curriculum lavorativo, una specie di patchwork di brevi e caduchi apprendistati in sei o sette branche del famoso "terziario avanzato". Era felice di non essere disoccupato, semi-grato a questo mercato del lavoro che ai più indifesi non offre più lavori, ma parodie, ovviamente pagate poco. ma si sentiva sbandato, incapace di pensarsi, domani, alle prese con qualche certezza, con qualche prospettiva.
Sempre più spesso, amaramente, mi è tornato in mente un vecchio, ruvido ma efficace slogan del Sessantotto: "A salario di merda, lavoro di merda". Si riferiva -si badi bene- al lavoro di fabbrica, alla vecchia e dura conflittualità tra padrone e salariato, ma anche al sicuro appartenere, sia pure come ultima rotella, all'ingranaggio mastodontico di un'industria che comunque dava una prospettiva, risicata ma una prospettiva, compresi i comfort del paternalismo aziendale che si occupava, in molti casi, anche delle vaccanze per i figli, del dopolavoro, e in fin dei conti consentiva la formazione di un'identità: professionale e di classe. Dirsi "operaio", fino a una generazione fa, voleva dire qualcosa di intellegibile e forte.
Ma per questi operai che non sono operai, camerieri che non sono camerieri, cassiere che non sono cassiere, ricambiare con un "lavoro di merda" un salario di merda, e per giunta a termine, non è neanche una estrema presa di posizione ideologica. E' uno stato di fatto, è l'impossibilità materiale di impadronirsi di un mestiere, di usarlo come gradino per salire una scala, di sgobbare per un risultato concreto. E' un non saper fare, un non potere imparare, un saltabeccare faticoso e frustrante tra mezzi lavori, mezze speranze.
E i consumatori, per dirla più civilmente i cittadini, giustamente faticano persino a protestare, non solo perchè nel labirinto dei call-center, nell'immaterialità dell'azienda è difficilissimo trovare il luogo fisico o anche virtuale dove lamentarsi; quanto perchè si rendono conto che chi gli sta di fronte, qualunque sia il suo grado di disponibilità e di tenacia, non è materialmente in grado di fare bene il proprio lavoro. Per il semplice fatto che quel lavoro non è il suo lavoro.
Non so se esistano studi o valutazioni sull'impatto della fine del lavoro sui servizi. Sui costi, sui disservizi, sulle nuove, impreviste distanze che separano il fruitore di un servizio dall'erogatore. Quello che è certo è che, quando ti trovi davanti a un ragazzo o una ragazza incapaci di svolgere il proprio lavoro, il rapporto non è tra vittima e carnefice. E' tra vittima e vittima, è tra il lavoratore dequalificato e il cittadino malservito. Il carnefice, restando in metafora, è lontano anni luce, in consigli d'amministrazione che valutano soddisfatti il calo del costo del lavoro. E non calcolano il calo della qualità della vita, e la perdita di dignità di chi lavora male, e di chi riceve il frutto avvelenato del cattivo lavoro, pagandolo come se fosse buono.

Michele Serra, La Repubblica, 25.05.07

3 Comments:

At 29 maggio 2007 alle ore 14:29, Blogger Clark Kent said...

una sola parola di commento: MERITOCRAZIA!

Ho dei colleghi che meriterebbero di guadagnare 2mila euro al mese. Altri ai quali 100 sarebbero già troppi, punto(.)

 
At 29 maggio 2007 alle ore 15:29, Blogger Gift said...

Al di la' dei soldi guadagnati (problema fondamentale, dato che quelli che si spaccano il di dietro sono quelli spesso che non tirano a fine mese!!), bisognerebbe cambiare un po' le forme contrattuali, e i datori di lavoro dovrebbero passarsi le mani e i piedi sulla coscienza!!

 
At 29 maggio 2007 alle ore 17:31, Blogger Clark Kent said...

Concordo, alcune forme di collaborazione riportano alla rivoluzione industriale in quanto a diritti dei lavoratori.

Stimo molto il sistema scolastico inglese: i presidi delle scuole PUBBLICHE assumono e licenziano direttamente gli insegnanti. C'è un ente incaricato di valutare la preparazione dei docenti e da dei giudizi proprio come avviene per gli alunni: promosso o bocciato.
Risultato??? Classe insegnante stimolata e spinta a far bene.

Da noi?

Mi immagino già la rivolta popolare se si dovesse proporre una cosa simile.

Però mi domando anche: "perchè dovrebbero rivoltarsi tutti? Non vengono forse premiati i meritevoli? E allora qual'è il prioblema?".

Dimenticavo, l'ente che classifica gli insegnanti poi pubblica la classifica sul proprio sito, perchè la responsabilità verso i ragazzi viene dopo la privacy!

Bah...

 

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