[...]
L'incedere ha sempre espresso, e sintetizzato allegoricamente, la fatica di vivere: l'appartenenza ad una specie che non può -in quanto tale- ribellarsi a ciò che le è toccato in sorte. Sempre riprendere il cammino. Per questo il camminare assunse, all'apparire della coscienza di esistere, un valore ontologico. Fu e resta la più emblematica narrazione mitica, costitutiva, della dimensione dell'essere come divenire, del percepirsi vivi, ancora attivi, disponibili a cambiare direzione basandosi soltanto sul proprio corpo. [...] In tutte le tradizioni il camminare fu dunque simbolo di un destino ineluttabile. Lungo la via si cade, ci si rialza, si torna indietro, si fanno incontri miracolosi, si è aiutati da samaritani o ingannati da demoni. [...] Tornare a passeggiare nelle città ostili o nella natura per osservare, annotare, riflettere (e nn correre a vendere o comprare) o il vagare a zonzo (peregrinando in luoghi deserti) sono modi che ci riaprono a sensazioni ed emozioni dimenticate; al più puro contatto fisico senza alcuna mediazione meccanica. Ci educhiamo a desiderare l'imprevisto, ad accettarlo, ad andargli incontro: qualunque cosa ci si pari dinanzi. Decidere di camminare affidandosi all'istinto, all'estro, a quanto può turbarci, ai dubbi dei quadrivi, è esperire con pienezza e intensità maggiori l'istante che viene.
Duccio Demetrio
La Repubblica