28/09/06

Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo!

Chiude la Pablo.
Roma , Testaccio, un lungo corridoio farcito con tutte le locandine dei film prodotti, la maggior parte dei quali meteore. In fondo al corridoio la stanza di Gianluca Arcopinto, il padre della Pablo, produttore cinematografico fuori dagli schemi.
Muto.
Mutismo incarnato su un corpo di pietra, da Toro seduto, calmo e massiccio, forse cattivo. Alle sue riunioni di produzione si susseguivano affannati registi, chi agli esordi e chi già da tempo ha esordito e non riesce ad esordire più. Con spasmi di incertezza e passione nevrotica tutti davanti a lui tentavano di raccontare il loro desiderio di cinema e di fare una storia nuova, la storia, la loro storia unica e inimitabile. Mentre lui ci scrutava dietro una piccola scrivania, mesto e disincantato e non pronunciava parole, nessuna espressione facciale e nessun respiro, un monumento di pietra in grado di scardinare ogni architettura di parole, ogni affanno artistico, ogni legittimo o illegittimo ardore finalizzato a farsi dare dei soldi da lui.
Un maestro senza filosofia che non pronunciava nemmeno aforismi incomprensibili per illudere o consolare, Arcopinto.
Soldi non c’erano. Questa l’unica verità.
Ma alcuni film, non si sa come, uscivano da quegli uffici. Poi i registi, fatto il film, chiamavano per sapere... Che fine facevano i film? Chi li distribuiva? Quante copie aveva fatto stampare Gianluca? E dopo che il film era finito iniziava l’arte del produttore, un’arrendevole voglia di disincanto. Il film c’è ma non uscirà mai. Oppure il film è bello e lo porto io, lui Gianluca, in giro per l’Italia.
"Ma nun me fate parlà che se parlo io casca il mondo"
Con questa frase che alludeva a scenari di complotto e trame massoniche della Roma vischiosa della politica, Gianluca tacitava i registi, recalcitranti a credere che fatto un film se ne possa fin da subito celebrare il funerale. Non diceva mai di sì e nemmeno di no Gianluca. Quindi per chi vive con il sogno e con la convinzione di avere qualcosa da dire nel cinema, quei suoi silenzi statuari erano o un appello sincero a provarci o un invito implicito a suicidarsi.
Questa era, e forse è, la forza di Arcopinto, lasciare al suo interlocutore tutte le mosse e tutte le interpretazioni possibili, tutte le domande e tutte le risposte. La Pablo ci mancherà, un ambiente vitale, un grande casino, passione per il calcio e militanza e soldi come nel gioco delle tre carte: ci sono, non ci sono, ci sono stati. La finanza ogni tanto arrivava ma poi andava via.
“Lo portamo a casa ’sto film?”
Prediligeva direttrici di produzione donne.Dei pitbull in grado di finire un film senza mezzi e di non farsi picchiare dai macchinisti.
Chi non paga mazzette, e Gianluca non le pagava, chi non ha a che fare con il mondo politico-borghese ben introdotto dove per noia ci si dà all’arte e meglio ancora all’arte cinematografica per spendere di più e annoiarsi di meno, sopravvive solo con la difesa e la consolazione della militanza ostentata che nel caso della Pablo era accompagnata da un’altra ideologia, più sentita e gioiosa: la Roma.
Gianluca infatti amava e ama il calcio molto più del cinema. Ora la Pablo non c’è più ma come consolazione del suo fondatore la Roma c’è ancora.